DE GIOVANNI: Sono Biagio De Giovanni, attualmente Presidente
della Commissione Istituzionale del Parlamento Europeo. Ho insegnato per molti
anni in varie università discipline come Filosofia del Diritto o Filosofia
politica. Anche questo mio retroterra personale mi induce a credere che
oggi potremo condurre una discussione interessante sul significato del termine democrazia.
Ora visioniamo la scheda che è stata preparata dalla regia.
Benché si continui ad usare la stessa parola greca, il significato moderno di democrazia è molto diverso da quello antico. Per i Greci la democrazia coincideva con la partecipazione diretta del popolo alle decisioni che riguardavano la polis. Nelle moderne democrazie, al contrario, la sovranità popolare si esercita attraverso le elezioni, con le quali il popolo si sceglie i suoi rappresentanti. Non dobbiamo dimenticare però che la vita politica si svolge oggi in grandi stati, mentre nella Grecia del VI e del V secolo avanti Cristo non esisteva uno Stato, ma una serie di città-stato. Del resto da dove viene la parola politica? Anche politica è una parola greca. Politica viene da polis, che significa appunto città. Se nella democrazia ateniese la politica attiva rimaneva nelle mani degli abitanti della città, nella democrazia moderna questo passa ai politici. Nell'antica Atene, insomma, tutti i cittadini, proprio perché cittadini, erano dei politici. Nelle democrazie moderne, invece, solo quelli che siedono in Parlamento, in genere vengono considerati dei politici. Essere dei politici, però, significa, nella nostra democrazia, esercitare l'attività politica non per se stessi, ma in nome di un solo sovrano: il popolo. Nelle democrazie occidentali la società civile è sempre più direttamente impegnata in politica. Una moderna polis, costituita da associazioni, gruppi di pressione, gruppi economici, preme direttamente sulla decisione politica. Se i cittadini diventano soggetti politici attivi, ne guadagna certamente la vitalità di una democrazia.Ma può determinarsi così un regresso in termini di governabilità? La democrazia non potrebbe trovarsi ad essere contraddittoriamente minacciata da quelle stesse istanze che ne realizzano, per altro verso, la natura?
STUDENTE: Tenendo
presente la differenza che Norberto Bobbio ha stabilito tra democrazia
formale e democrazia sostanziale, fino a che punto pensa
che la democrazia si sia realizzata nella società attuale? Non pensa che possa
esistere una una frattura tra l'ordinamento giuridico statale e la fruizione
reale dei diritti di cittadinanza propri di una democrazia reale?
DE GIOVANNI: Io vorrei partire da una considerazione: noi
non dovremmo mai commettere l'errore di immaginare che, nella storia, si possa
realizzare una attuazione perfetta di un qualsiasi modello di ordinamento. Se
non partissimo da questo dato, ossia dalle imperfezioni della storia umana,
costituite dai limiti propri dell'uomo, (questa che dovremmo considerare una
sorta di finitezza, giammai un’antropologia pessimistica), noi
finiremmo per applicare una logica sbagliata, arrivando a credere nell'esistenza
di un modello che debba essere realizzato perfettamente. La storia del concetto
di democrazia ci dimostra esattamente il contrario, ovvero come i
processi storici siano sempre stati processi aperti, tendenze, quasi mai
realizzazioni compiute. La società perfetta si realizzerebbe solo se noi
fossimo degli angeli. Ma degli angeli, com'è ben noto, non
siamo! Anzi, diceva Machiavelli: proprio perché gli uomini sono tristi e
non sono buoni, è necessaria la forza, è necessario il potere.
Occorre partire dall’idea di un modello imperfetto, da una visione della
democrazia come un ideale perennemente incompiuto. La forza della
democrazia, rispetto ai modelli dispotici e dittatoriali, riposa esattamente in
questa sua perenne incompiutezza. Lei pone, comunque, un problema reale e
angoscioso: come si rapportano le forme della democrazia ai diritti effettivi?
Questo è un grande problema: il rapporto tra democrazia formale e
democrazia sostanziale. Vorrei fare un accenno a questo tema - ma è un tema
che, credo, occuperà parecchio della nostra trasmissione. Noi occidentali, per
esempio, abbiamo raggiunto un grande risultato: l'affermazione della Carta
dei diritti dell'uomo. Però i diritti dell'uomo sono continuamente violati.
Lo sperimentiamo ogni giorno nelle nostre città così come nelle grandi vicende
storiche contemporanee. Questo però non significa che avere affermato la Carta
dei Diritti dell'uomo sia stata una cosa inutile, perché, comunque, siamo stati
in grado di affermare un criterio, sulla base del quale poter criticare la
realtà esistente. Se non avessimo avuto un'affermazione così importante, come
la Carta dei diritti dell'uomo, di cui quest'anno ricorre il cinquantenario,
noi non avremmo avuto a disposizione un criterio attraverso il quale criticare quella
realtà insufficiente, imperfetta da cui, troppo spesso, siamo circondati.
Questo vale sempre per la democrazia, perché nella lotta per l'affermazione
della democrazia esisterà sempre un divario fra forma e sostanza.
La tendenza della democrazia deve essere quella di adeguare la sostanza alla
forma, i diritti effettivi alle forme e alle procedure per la loro messa in
pratica. Questo è un accenno di risposta, ma la domanda implicherebbe la presa
in considerazione di tante altre premesse ineludibili.
STUDENTESSA: Noi sappiamo bene come
l'ateniese Pericle, nel 400 a.C., abbia usato il concetto di democrazia per
giustificare la guerra degli Ateniesi contro gli Spartani (ovvero per
giustificare la guerra di una società "libera" contro una tirannica).
Attualmente in Italia (che, comunque, è un paese democratico) sembra che esista
anche un tipo di interpretazione opposta a quella, apologetica, di Pericle. Non
a caso sono sorte delle voci "fuori coro" rispetto all'opportunità e
alla correttezza dell'intervento della N.A.T.O. nel Kossovo. Ma allora vorrei
chiederLe: quanto è sopravvissuto del concetto antico di democrazia in
quello attuale?
DE GIOVANNI: Innanzitutto il concetto antico di democrazia,
come per altro ci faceva notare anche la scheda introduttiva, è profondamente
diverso da quello contemporaneo - come, del resto, da quello moderno - ma non
perché esso fosse più avanzato. Tanto per cominciare, la democrazia antica era,
secondo il pensiero politico "classico" solo una delle possibili
forme di governo, che potevano essere descritte nel panorama politico di tutto
ciò che esisteva. Ma spesso erano descrizioni che non prescindevano affatto da
giudizi di valore personali e soggettivi. Si tendeva a considerare, spesso, che
le forme di governo potessero essere riassunte in un numero abbastanza piccolo
di categorie: "governo dei molti", "governo dei pochi",
"governo dell'uno". La democrazia, ovvero il "governo dei
molti", era vista, badate tutti, con molta diffidenza dai pensatori
politici dell'antichità. Nell'VIII Libro de La Repubblica è
possibile rintracciare una celebre critica di Platone, molto forte, al valore
della democrazia. In realtà la democrazia godeva di svariate proprietà che ne
facevano un modus vivendi estremamente pubblico, anche il suo
teatro e il suo laboratorio era costituito, naturalmente, da piccole città. Ma
il momento della decisione era quasi sempre estremamente unanime e il potere
esercitato era estremamente unitario. La democrazia moderna implica un enorme
pluralismo di voci, una grande difficoltà di arrivare a decisioni unanimi,
proprio perché la decisione deve poter tenere conto di una enorme pluralità di
opinioni diverse. Lei ha portato un esempio riconducibile alla storia attuale.
Ma è naturale che su di un'entrata in guerra vi possano essere opinioni
diverse! L'importante è tener conto del fatto che, anche in una democrazia,
dalla pluralità delle voci, si deve, pur sempre, arrivare ad una decisione.
Perché uno dei limiti fondamentali, se non addirittura il rischio principale,
della democrazia può essere proprio l'incapacità di decidere.
Questo rischia di essere un elemento critico. Noi abbiamo sempre la
possibilità, naturalmente, rispetto a decisioni prese, di far valere la nostra
critica all'interno della nostra partecipazione alla politica e quindi di farla
valere col voto. Quando criticheremo una condotta politica, o condanneremo una
determinata scelta, ciò dovrà portarci a non votare nuovamente coloro che,
secondo noi, hanno fatto delle scelte sbagliate o addirittura ingiuste. Badate
bene: la democrazia moderna è realmente complessa. La democrazia antica era
estremamente più semplice. Non credete che sia esistito un modello di
democrazia antica che, noi moderni, abbiamo progressivamente fatto degenerare o
che abbiamo tradito. Vorrei aggiungere che i dati critici, rispetto alla
democrazia antica, erano, da parte degli intellettuali coevi a quel modello,
assai maggiori dei dati di adesione. Ho richiamato Platone per ricordare che,
rispetto alla città ideale di cui parlava ne La Repubblica, la
democrazia rappresentava una delle possibili degenerazioni, perché nell'insieme
l'idea era quella che il potere dovesse avere una forte concentrazione e una
forte unità.
STUDENTESSA: Jean Jacques Rousseau ne Il
contratto sociale parla di democrazia diretta, una forma
di democrazia direttamente riconducibile a quella in vigore nell'antica Grecia,
condannando l'assolutismo - che ai suoi tempi era lo status quo -
che lasciava tutto il potere in mano al sovrano, negando l'esistenza dei
diritti fondamentali degli uomini, e polemizzando con il liberalismo
parlamentarista, da lui rappresentato come un sistema che lascia solo alla
rappresentanza, e non agli individui, la libertà diretta di esprimere un
consenso. Secondo Lei, perché non è rimasto in auge questo modello di
democrazia diretta, se i principi tratteggiati in essa da Rousseau erano
principi validi?
DE GIOVANNI: Va subito rilevato come la democrazia di
Rousseau sia un'idea di democrazia legata ad una dimensione sociale molto
piccola, la dimensione della città, certamente non ad una grande dimensione,
come quella della realtà statale delle grandi nazioni. È chiaro che, in una
grande dimensione statale, l'idea che ci possa essere una democrazia
semplicemente diretta, con una naturale e diretta partecipazione di
tutti al potere esecutivo, renderebbe impossibile il funzionamento di un
qualsiasi sistema politico adottato in quello stato. Naturalmente, l'importanza
della posizione di Rousseau, che è stato uno dei fondatori del moderno concetto
di democrazia, consistette nell'affermare: badate, la dimensione della
partecipazione politica deve essere interiorizzata nell'uomo,
per poter fare di esso un cittadino. Ricordiamoci del fatto che Rousseau
si rivolgeva ad un pubblico coevo ad una situazione nella quale vigevano gli
Stati Assoluti, vere e proprie entità nelle quali sussisteva un'altissima
concentrazione di potere proveniente direttamente dall'alto. Quasi tutti i
teorici dell'etica e della politica anteriori a Rousseau - tranne Spinoza -,
non avevano neppure concepito, o rielaborato, il concetto stesso di democrazia.
Lo stesso Hegel, dopo Rousseau, aveva espresso molte diffidenze verso la
democrazia. Volendo usare un massimo di semplificazione, come è necessario fare
in questo caso, era come se allora, siamo nella seconda metà del settecento,
l'idea stessa di potere, fosse, per antonomasia, quella di un
qualche cosa di discendente dall'alto. Rousseau per la prima volta,
sostanzialmente, tende a costruire un potere che nasce dal basso, che pone il problema
di un contratto, al quale tutti partecipino, diano la loro adesione,
costruiscano quindi una democrazia diretta. Subito dopo Rousseau è stata
inaugurata una forte critica di questa democrazia diretta, basata
sull'intuizione che gli Stati, i grandi contenitori della democrazia moderna,
non possono funzionare se non attraverso una qualsiasi forma di rappresentanza.
Inoltre, devo metterVi in guardia su di una cosa: sostenere ad ogni
costo un ideale di democrazia diretta, certe volte, può essere un comodissimo
alibi per arrivare ad affermare una posizione effettivamente autocratica e
dittatoriale. La posizione plebiscitaria, ad esempio, nella quale sembra che il
popolo sia presente come detentore del potere assoluto, spesso tutto rischia di
ridursi ad un popolo che applaude in una grande piazza! Tutto lì! È democratica
quella situazione? O non è democratica? Non è democratica, perché in realtà in
un contesto di quel tipo, mancano le istituzioni necessarie alla mediazione fra
il popolo e la sua sovranità e le istituzioni politiche stesse. Vorrei
aggiungere un'altra cosa, allo scopo di completare l'illustrazione di un
concetto non precisissimo, che è già stato tratteggiato nella scheda: la
democrazia non può essere solamente politica. L'uomo non può essere solamente
un cittadino, perché l'uomo in quanto cittadino, è colui che vota, è quello che
esercita i propri diritti politici di cittadinanza. Ma oltre ad
essere un cittadino, qualsiasi uomo è anche un lavoratore dipendente, o è
imprenditore, o è un assistito, assieme a tante altre cose. Quando, allora, la
democrazia come tale tende ad essere la più perfetta possibile e realizzata
pienamente? Quando essa può avvicinarsi il più possibile a quella connessione
fra democrazia formale e democrazia sostanziale, di cui Lei parlava? La mia
risposta, che è un'ipotesi, non potrà essere che questa: quando viene a
costituirsi un insieme di connessioni, un insieme di rapporti, che non si
esauriscono nei diritti politici, ma che metta in campo, per esempio,
l'importanza dei diritti sociali e dei diritti economici. Non può esistere solo
il Parlamento come elemento garante della democrazia reale, e quindi come
mediatore principale di quella rappresentanza puramente politica di cui Lei
parlava. Esistono molti altri momenti della vita pubblica nei quali la
partecipazione, magari non direttamente politica, alle associazioni, alla vita
del volontariato, alle istituzioni locali, alle istituzioni universitarie, alle
istituzioni scolastiche, possono costituire, ognuno attraverso il proprio
contributo, momenti di organizzazione di una società più ricca e complessa.
Ecco perché è sempre debole il paragone fra la democrazia degli antichi e la
democrazia dei moderni. Giunti a questo punto varrebbe la pena considerare la
riflessione svolta da Norberto Bobbio sul rapporto tra liberalismo e
democrazia, perché mi sembra opportuno approfondire, all'interno del nostro
dibattito, proprio questo passaggio della sua meditazione.
BOBBIO: Se si intende la democrazia una società al massimo egualitaria, esisterà sempre un contrasto tra liberalismo e democrazia. Però se noi partissimo dalla definizione procedurale di democrazia ci renderemmo conto di come la democrazia, quella che noi, oggi, intendiamo per democrazia, non sia altro che la naturale evoluzione storica del liberalismo, una sua prosecuzione, perché il liberalismo ha affermato, per primo, alcuni diritti fondamentali dell'uomo, i diritti di libertà e i cosiddetti diritti civili tra cui: la libertà di associazione, di riunione, di stampa, di opinione, di religione, eccetera. Con la democrazia si è affermato un altro concetto fondamentale, quello di diritto politico, vale a dire il concetto di un diritto di prendere parte alle decisioni collettive. All'inizio esistevano solo i cosiddetti Stati liberali che, il più delle volte, non erano affatto democratici, perché potevano prendere parte alle decisioni collettive soltanto alcuni cittadini, generalmente coloro che pagavano una certa quota di tasse, quindi gli abbienti. Cerano delle imitazioni di voto molto gravi per cui potevano votare soltanto una piccola parte dei cittadini: il 2%, il 3% (al massimo) dei cittadini. Poi, con il passare del tempo, è avvenuta l'estensione del suffragio elettorale, fino a che esso non è divenuto universale. Questa estensione non è stata altro che una conseguenza della estensione a tutti i componenti di una società di alcuni diritti fondamentali che erano stati richiesti dal liberalismo. Da questo punto di vista, se noi intendiamo la democrazia soprattutto dal punto di vista procedurale o formale, come lo intendo io, la democrazia attuale è la naturale prosecuzione storica del liberalismo. Non può esserci contrasto tra i due concetti.
DE GIOVANNI: Norberto Bobbio, come Voi sapete, è uno dei
grandi maestri del pensiero politico italiano. Egli, secondo me, sostiene una
cosa inconfutabile, che ci permette di allargare il nostro discorso: quando,
nella democrazia, è stato sottolineato l'elemento puramente egualitario - ossia
l'equazione democrazia = eguaglianza - è sembrato che tra democrazia e liberalismo vi
dovesse essere opposizione basata sullo stato di fatto della loro diversità. E
v'è stata opposizione, da parte dei sostenitori degli ideali democratici, al
modello puramente liberale. Voi dovete pensare che gli Stati liberali
dell'Ottocento erano Stati che avevano affermato alcuni diritti fondamentali,
ma solamente per alcuni. Per esempio il suffragio era ridottissimo. Pensate che
fino al 1882 in Italia votava il 2%, della popolazione attiva. La cosa è
assolutamente incredibile, per noi, oggi. È accaduto che, ad un certo punto,
proprio verso la fine dell'Ottocento, si sia rotto lo schema dello stato
liberale puro, basato su di una spaventosa ristrettezza della
partecipazione dei cittadini alla vita politica. I grandi movimenti popolari, i
grandi movimenti socialisti, i grandi movimenti popolari cattolici, in Italia,
così come da per tutto, la fondazione dei partiti socialisti verso la fine
dell'Ottocento, avvenuta in Italia nel 1892, fecero sì che le grandi masse
entrassero a far parte della vita politica e sociale dei loro paesi. Questa fu
una grande novità. Gli Stati si dovettero adeguare al fatto che grandi masse
cominciavano a partecipare alla vita politica. In quel momento sembrò che tra
liberalismo e democrazia si dovesse instaurare, semplicemente, un'opposizione.
In realtà che cosa è accaduto lungo il secolo? Io vorrei che Voi rifletteste
sull'attualità. Lungo il secolo è avvenuto che è stata avviata una vera e
propria compenetrazione fra il liberalismo puro, (il tentativo di dire: l'uomo
ha dei diritti che sono connaturati alla sua umanità, che sono connaturati al
suo essere uomo, che non sono diritti di classe, o diritti acquisiti
successivamente) e le principali istanze dei movimenti democratici. Il
risultato di questa compenetrazione fu arrivare a concludere che i diritti
fondamentali della tradizione liberale dovevano essere generalizzati, poiché
enormi masse umane che, allora stavano entrando nella storia, ne richiedevano
una maggior condivisione. Ecco, in questo, secondo me, consiste l'affermazione
del nesso tra liberalismo e democrazia,.
STUDENTE: Forse non ci sarà mai una perfetta eguaglianza!
Ma io vorrei far notare questa incongruenza nel Suo punto di vista: se una
persona dispone di tutti i mezzi per arricchirsi, allora possiamo dire
"Okay ci sono gli stessi diritti", ma al tempo stesso constatare
"ma non ci sono le pari opportunità". Non Le sembra assurdo? Bisogna
pur disporre di pari opportunità per poter vivere nella stessa maniera, ossia
per poter vivere secondo dei canoni comuni fondamentali da cui poter partire
per l'affermazione di sé stessi. Se venisse offerta la possibilità a tutti i
cittadini di uno stato di potersi evolvere economicamente nella propria
società, insomma, anche con un sistema alternativo a quello capitalistico,
questo non significa che comunque tutti finirebbero per fare le stesse cose, o
per sfruttare nello stesso modo le stesse opportunità di partenza. Questa è
democrazia, almeno da come la vedo io, non terrore politico!
DE GIOVANNI: Sì, d'accordo. Ma allora, a questo punto, Le
vorrei fare io una domanda. Non Le sembra che le democrazie moderne abbiano
tentato - e che stiano tuttora tentando, poiché i processi storici sono sempre
in corso, naturalmente - il massimo possibile per costruire un rapporto tra
diritti sociali e diritti politici che fosse il più equo possibile? Provi a
tornare con la Sua mente indietro nel tempo, al Medioevo, al Rinascimento, al
Seicento o al Settecento, quando i poteri costituiti erano veramente
oligarchici. La democrazia, affermandosi, ha rotto queste oligarchie. Ha creato
lo stato sociale in Occidente. Si può obiettare: ma lo stato sociale non può
soddisfare tutti, perché lo stato sociale mantiene all'interno della società
dove esso è in vigore una convivenza tra povertà e ricchezza. Certo! E chi lo
nega! Dicevo all'inizio: non pensate a modelli assoluti come progetti per il
futuro. Io sono dell'avviso - faccio una considerazione brevissima, perché qui
bisogna essere molto brevi -, che la Sua critica riprenda il tema di Marx,
ovvero la critica della democrazia politica (quella che Marx chiamava "il
cielo della politica di fronte alla terra"), e la necessità di considerare
il materialismo della società civile. Questa è una critica realistica, e una
saggia tendenza dovrebbe essere quella di poter mettere insieme questi due
livelli della realtà. Ma è un processo di fronte al quale dovremmo chiederci:
che cosa conta, al suo interno, a livello decisionale? Contano due cose,
secondo me:
La prima è: la grande capacità dell'individuo di
partecipazione alla lotta politica, anche di lotta di classe, quando è stata
necessaria.
La seconda, contrariamente a quanto si possa credere, è stata l'esaltazione
dell'individuo, e della sua capacità, in quanto individuo, di restare
all'interno del processo storico, senza tentare di farne astrazione.
Rispetto alla democrazia, oggi, non c'è di meglio al mondo. Purtroppo è così!
STUDENTE: Comunque è riscontrabile anche il fatto che i
piani teorici non sono mai stati attuati praticamente in assoluto, nella storia
umana. Non a caso le grandi delusioni storiche, hanno generato reazioni
culturali tutte assimilabili da un unico comune denominatore (si pensi al
naturalismo, al verismo, ecc.), il fallimento di una prospettiva realistica,
riscontrare che la democrazia, dopo le lotte intraprese per la sua affermazione
non era praticamente quello che ci si aspettava che potesse essere sul piano
teorico. Ma nessun modello ideale è mai stato realizzato perfettamente nella
realtà storica!
DE GIOVANNI: Ma Lei è proprio convinto che noi si debba
partire da un modello ideale per poi misurare quanto di questo modello sia
stato realizzato nella realtà? Siamo ancora convinti che Platone sia il nostro
schema ideale di pensiero? È uno schema per il quale si parte dal grande
modello ideale del mondo, poi andiamo si va a vedere, lentamente, che cosa di
questo modello si è in grado di realizzare nella realtà. Siamo sicuri che esso
sia la ricetta giusta per cambiare le cose? Non si dovrebbe avere un
atteggiamento molto più dinamico, molto più processuale, che parta
dall'osservazione di come il mondo è realmente? Come vi ho detto sin
dall'inizio: la democrazia è, per definizione un processo incompiuto.
Come tutti i processi dinamici!
STUDENTE: È una visione pessimistica, questa!
DE GIOVANNI: Pessimistica!? È una visione storicistica,
è una visione della storia umana, della finitezza della storia umana. Forse c'è
una leggera punta di pessimismo antropologico in questa interpretazione della
natura umana. In questo mi sento molto vicino ancora alle cose che diceva
Machiavelli ne Il principe, cioè: se fossimo angeli il mondo
sarebbe perfetto. Non lo siamo, però, (viva Dio!), il punto fondamentale dal
quale possiamo ancora partire per modificare le cose qual è? L'impegno, sia
etico, che politico, da parte di tutti. Devo dire, a questo riguardo, che io
avverto una notevole indifferenza, oggi, nelle nuove generazioni rispetto al
problema dell'impegno. Questo è un problema che va combattuto. No? Devo dire
che io oggi non l'ho avvertiti, con Voi studenti, ma purtroppo è una tendenza
reale.
STUDENTE: Lei non pensa, allora, che uno degli articoli
meno attuati della Costituzione Italiana sia quello in cui lo Stato dovrebbe,
diciamo, rimuovere gli ostacoli economico-sociali di ogni cittadino, proprio
per favorire la possibilità di quell'uguaglianza di libertà di ognuno di noi?
DE GIOVANNI: Non c'è dubbio. Vorrei che valutaste però
questo aspetto delle cose: è un fatto importante che la Costituzione Italiana,
contrariamente alla grande maggioranza delle costituzioni europee, affermi un
punto fondamentale sui diritti dell'uomo (il fatto che lo affermi, non
significa che lo realizzi o che lo abbia realizzato o che sia in grado di
realizzarlo in maniera compiuta). Però, anche grazie a questo punto della
Costituzione Voi giovani disponete, per esempio, di uno strumento intellettuale
e politico di lotta per poter affermare : ma se la Costituzione dice questo,
perché spesso nella realtà storica avviene il contrario, soprattutto nel nostro
paese? Come mai?
È questa l'essenza di ogni vera battaglia politica: la tensione che si viene a
creare fra ciò che dovrebbe essere la realtà e ciò che è, senza mai potere
immaginare che ciò che dovrebbe essere diventerà sicuramente e compiutamente
ciò che è, perché questa è un'immagine astratta della storia. Badate, ci sono stati
dei tentativi di trovare grandi scorciatoie politiche - le abbiamo avute nel
secolo - e queste scorciatoie politiche sono fallite. Vi siete chiesti: perché
sono fallite? Sono evidentemente fallite anche a causa di tante complicate
ragioni economiche, politiche, storiche, anche perché il tentativo di dare una
realizzazione compiuta ad un modello assoluto della realtà, come dicevo prima,
può finire col distruggere proprio la democrazia, ossia la possibilità che
tutti gli individui possano far valere ognuno la propria individualità.
Guardate bene: il liberalismo è proprio questo. Il nesso tra liberalismo e
democrazia è proprio questo. Dietro l'idea di democrazia esiste un'idea del
valore dell'uomo. La democrazia non è solamente un sistema dove governa la maggioranza,
è anche il sistema politico che, più di tutti, tende a valorizzare l'uomo e i
diritti umani. Poi, naturalmente, la storia è stata, ed è, quella che è. La
vediamo all'azione. La storia è terribile, badate, perché l'uomo è
terribile, perché il potere è terribile. Voi, nuove generazioni, dovreste
poter riporre la Vostra fiducia, le Vostre capacità, la Vostra speranza, nella
capacità di lotta anche. Ripeto, insisto: sento più indifferenza, in generale,
verso questi problemi di quanta non ne sarebbe necessaria. Si pensi ad un'opera
d'arte emblematica dei processi storici di cui stiamo parlando. È un quadro
interessante per farci comprendere il passaggio dal liberalismo classico alla
democrazia moderna, dipinto da Giuseppe Pelizza da Volpedo, Il Quarto
Stato, un celeberrimo quadro, rappresentativo di questa transizione dalla
cultura politica liberale classica alla moderna democrazia di massa. Quello fu
il momento storico in cui - alla fine del secolo scorso - grandi masse umane
entrarono a far parte della società politica. Prima, queste masse, erano
tagliate completamente fuori da ogni cittadinanza politica effettiva. La
politica si giocava in un circolo ristrettissimo. Questo quadro è l'emblema di
questo passaggio.
STUDENTE: Quanto è collegata, secondo Lei, l'informazione
alla democrazia? Quanto possiamo, noi cittadini, giudicare correttamente
l'operato degli uomini politici che noi votiamo? Quanto possiamo credere
nell'informazione politica? Molto spesso l'informazione politica, in questo
paese, risulta essere non oggettiva, di conseguenza non possiamo giudicare in
modo imparziale e, quindi, regolarci di conseguenza!
DE GIOVANNI: Questo è naturalmente vero. Io vorrei, però,
rispondere, innanzi tutto, alla prima parte della Sua domanda. Sicuramente il
nesso tra informazione e democrazia è
strettissimo, nel senso che la democrazia è, o dovrebbe essere, il regime della pubblicità.
L'agorà greco, sia pure per una piccola città, voleva rappresentare
proprio questo: il fatto che le decisioni rilevanti venissero prese in
pubblico. Tra pubblicità e democrazia c'è sempre stato un rapporto
strettissimo, sin dalle prime affermazioni della democrazia politica, in
opposizione ai vecchi luoghi comuni degli arcana imperi,
la mentalità anticamente diffusa secondo cui il potere è segreto.
Esso non deve informare, deve poter vedere tutto, ma non deve essere visto -
sto pensando al famoso panoptikon di Bentham, ossia una sorta
di punto di vista dal quale si può vedere tutti, senza essere visti.
Sicuramente l'informazione deve essere trasversale, ma - attenzione - il mondo
contemporaneo, se possiede una caratteristica peculiare essa è proprio quella
della velocità con cui le notizie vengono date. Voi lo sapete meglio di me,
perché su queste cose siete molto più aggiornati di me. Oggi il potere di pubblicizzare l'informazione
- mi riferisco ad Internet, ma potrei riferirmi alla stampa, alla televisione
-, è straordinario. Naturalmente c'è sempre chi tende a manipolare
l'informazione, per manipolare le coscienze, a ridurre l'oggettività
dell'informazione allo stretto indispensabile per ricavarne degli scopi poco
puliti. Ma perché dovremmo immaginare che tutto debba sempre essere chiaro e
limpido? Questi di cui stiamo parlando sono problemi enormi, rispetto ai quali
il fattore decisivo non può che essere la capacità di lotta esistente in seno
ad una società. Gli strumenti d'informazione li avete a disposizione. Internet,
per esempio, è uno strumento di informazione essenziale, perché tramite esso è
possibile pubblicizzare tutto e pubblicizzare è indispensabile per informare.
Ma ricordiamoci anche del fatto che pubblicizzare è mettere chi agisce,
politicamente o no, di fronte alle proprie responsabilità.
STUDENTE: Da quello che Lei ha appena detto è possibile
evincere che l'uomo è tanto più libero quanto più gode di una informazione
obbiettiva e non manipolata?
DE GIOVANNI: La libertà, in ultima istanza, non dipende da
niente. La libertà, fondamentalmente, consiste in ciò che è Lei come individuo.
Bisognerebbe sempre partire da questo presupposto. Noi tutti dovremmo sempre
partire da questa premessa: noi siamo liberi. Dopodiché si può
essere condizionati da cento fattori di cui moltissimi negativi. Naturalmente
più siamo bisognosi, per esempio, meno siamo liberi. Più abbiamo scarsa capacità
di partecipare alla vita economica e sociale, meno siamo liberi. Però,
l'essenza della libertà sta nella nostra umanità. Naturalmente a
partire da questo, tutto quello che Voi dite, tutto ciò che avete rilevato, per
esempio, sull'informazione, è vero. Vorrei portare un'esemplificazione. Noi
stiamo parlando di questo mondo contemporaneo, dove l'informazione passa
attraverso tutte le dimensioni, anche sotto forma di informazione manipolata.
Questo significa che è necessario avere la capacità di critica. Pensate al
mondo antico, pensate al mondo medioevale o anche al grande Rinascimento.
Potete Voi immaginare, in quei tempi, un livello di informazione, cioè di
pubblicità del potere, migliore di quello di cui godiamo oggi? Certamente non
era così. Quindi il mondo, anche da questo punto di vista, va verso il meglio,
(come avrebbe detto Kant), non va verso il peggio. Ma nonostante tutto rimane e
rimarrà sempre un mondo da migliorare. Lei nota in questo una una nota di
pessimismo? Forse sì, una nota di pessimismo è presente, in quanto viene messo
l'accento su questo senso della finitezza umana, su questa dimensione non
angelica dell'uomo, su questa ripetitività del potere, che è
una dimensione, se volgiamo, aspra della storia, che sconfina in una inimicizia
perenne che spesso pone gli uomini gli uni contro gli altri. Se volessimo
immaginare un mondo totalmente privo di imperfezioni anche da questo punto di
vista, probabilmente, avremmo di questo mondo una visione machiavellicamente
angelica! E, comunque, totalmente irreale.
STUDENTE: Vi sono anche delle guerre, in corso, su questo
mondo.
DE GIOVANNI: Vi sono delle guerre, ci sono delle guerre
dichiarate, ci sono delle guerre non dichiarate. Sembrava che dopo il 1989-90,
dopo la caduta del Muro di Berlino, il mondo dovesse conoscere il trionfo della
democrazia e basta. La cosiddetta "fine della storia". Invece, come
avete visto, la rottura degli equilibri mondiali sta ricreando nuove forme di
egemonie.
STUDENTE: Come si fa ad essere ottimisti in un mondo che
continua a produrre, spesso, dei conflitti per soli scopi autoritari?
DE GIOVANNI: In questo mondo di cui Lei sta parlando Lei
dovrebbe avere il coraggio e l'impegno di portare la Sua energia umana, la Sua
energia etica, la Sua energia politica, la Sua energia civile. Un poeta una
volta disse: l'atto quotidiano di una persona giusta è quello che salva il
mondo dal male. Non c'è nessuna retorica in questo. Più energia individuale noi
investiamo nel mondo, più volontà di pace, volontà di partecipazione,
condizionamento democratico del potere, partecipazione alla politica, partecipazione
alla vita civile, partecipazione alla vita scolastica, studio, ricerca,
otterremo come risultati. Il mondo è fatto di questo bisogno di impegno. Il
risultato complessivo della storia sarà anche il risultato complessivo di
quello che noi vi investiremo dentro. Più nutrirete indifferenza verso il
mondo, restandoVene in lontananza, e più il potere si occuperà di Voi e Voi,
alla fine, non riuscirete più a condizionarlo. Quindi, come dire, c'è costante
necessità di una riflessione sulla politica e sull'etica da realizzare in
questa realtà. Con una politica "pura" che non si sporca le mani con
il quotidiano non usciremo mai da tutti questi problemi.
STUDENTESSA: Lei, poco fa, ha portato l'esempio del
Medioevo, in cui non era possibile godere di una effettiva conoscenza del
potere. Lei, però, non pensa che, anche senza risalire così indietro nel tempo,
sino al Medioevo, e restando in questo secolo, in periodi storici come il
fascismo, l'informazione politica, pur essendo presente, (allora stavano nascendo
i grandi mezzi di comunicazione di massa) può essere stata usata in maniera
completamente distorta? Posto esclusivamente in mano allo Stato il potere di
informare la gente, in quel periodo, aveva deformato in maniera abbastanza
consistente la visione del potere da parte dei cittadini, inquadrando la storia
degli eventi politici di quegli anni solo da un certo punto di vista,
nonostante il progresso tecnologico di cui già allora si disponeva in termini
di pubblicizzazione della politica. Ma allora questo
"andare verso il meglio" di cui Lei parlava prima…?
DE GIOVANNI: Lei ha posto un problema molto importante, di
cui possiamo parlare, sia pure brevemente. Io vorrei che, quando Voi pensate ai
limiti della democrazia - oggi gran parte delle Vostre domande sono state sui
limiti, la crisi e la critica della democrazia - non dimentichiate mai che
l'unica alternativa moderna alla democrazia è la dittatura. Oggi, anche la
politologia ha semplificato il vecchio schema. Prima si parlava: autocrazia,
monarchia . No. Solo dittatura o democrazia. Tu hai fatto l'esempio del
fascismo. Il fascismo è stato un fatto, come dire, del mondo moderno. Ci sono
molti storici che stanno valutando tanti aspetti, però il punto fondamentale è
questo: una cosa è un'informazione governata esclusivamente dall'alto, altro è
un'informazione contraddittoria, manipolatrice, ma che sta dentro un processo e
una dialettica, democratica. L'alternativa a questi regimi è la dittatura.
Sembra troppo secca la cosa, ma è proprio così. Non c'è via di mezzo. Bisogna
stare in questa democrazia e cercare di migliorarla. Non dire: "Ma questo
va male. Quest'altro va male." Allora?".. Il processo è questo, dove
andiamo altrimenti?
STUDENTESSA: Quindi dovremmo saper distinguere tra dove è
possibile il confronto e il dibattito e la pura propaganda
DE GIOVANNI: Certo saper distinguere dove nasce il potere,
perché il carattere delle dittature è che il potere nasce tutto dall'alto, che
tutto è concentrato in quel punto che vede, senza essere visto, ilpanoptikon .
STUDENTE: Professore, mi scusi, riguardo all'informazione:
come è possibile contestare il finanziamento ai partiti, in una democrazia,
quando poi è possibile che non tutti i partiti abbiano la possibilità di
ottenere una pubblicità come d'altronde è successo in Italia anni addietro?
DE GIOVANNI: Non ho ben capito se la Tua domanda è
favorevole o contraria al finanziamento ai partiti.
STUDENTE: No, è favorevole.
DE GIOVANNI: Anche io sono favorevole per una ragione
chiara, che la politica ha un costo - ed è giusto che lo abbia. Naturalmente
poi la democrazia deve vigilare che il costo della politica sia veramente un
costo che va alla politica, intesa come vita civile, polis, città. Ma
immaginare, come dire, qualunquisticamente che siccome c'è la corruzione vanno
aboliti i partiti è un altro discorso. La politica ha i suoi costi e
naturalmente è molto difficile governare un problema di questo genere, non solo
per un atteggiamento che oggi esiste di risentimento contro le forme della
mediazione politica. Questo è un punto pericoloso, badate. Noi possiamo
criticare i partiti quanto vogliamo, criticarne la degenerazione, ma dobbiamo
sapere che non sono state ancora inventate altre forme per trovare la
mediazione della democrazia. I partiti devono diventare sempre più progetto e
sempre meno potere. Le idee devono passare da qualche parte, attraverso gli
strumenti di mediazione fra società e istituzione. Il dettaglio sul
finanziamento sarebbe lungo e ci porterebbe lontano. Ma il tema mi pare
importante.
STUDENTESSA: Professore, Lei ha
fatto riferimento prima all'VIII Libro de La Repubblica di
Platone. Abbiamo richiamato, attraverso Internet, un sito contenente i dialoghi
di Platone proprio perché vogliamo prendere in considerazione la critica che il
filosofo fa della democrazia come degenerazione dello Stato, come regime
sciolto dal peso d'ogni disciplina. Dobbiamo considerare che Platone era
convinto della sostanziale ineguaglianza degli uomini. Però, viste tutte le
critiche che abbiamo mosso oggi alla democrazia, dovremmo anche prendere in
considerazione l'idea di Platone di far gestire la cosa pubblica ai migliori, i
migliori per virtù e valore intellettuale, oppure, per non essere così
drastici, prendere l'idea di Rousseau, che la volontà della maggioranza non
sempre tiene conto del benessere comune e dell'utilità pubblica.
DE GIOVANNI: Devo dir la verità, io penso che sia
meglio che non tutti i migliori arrivino a governare, ma piuttosto immaginare
che il governo debba essere dei migliori. Perché poi ognuno si interpreta come
il migliore, allora il vero rischio è che si passi a una situazione
monocratica. Badate che la critica di Platone nell'VIII Libro de La
Repubblica - che addirittura vede la democrazia come il penultimo
stadio della degenerazione, poi, c'è solamente, la tirannide, è un elemento
che, diciamo, spinge non in direzione di adesione - ma diciamo, di
valorizzazione di ciò che la democrazia ci può offrire. Ecco, io credo che la
democrazia moderna è l'unica forma di governo nella quale noi possiamo pensare
di migliorare la nostra esistenza individuale.
di Biagio De Giovanni da Il grillo 11/10/1999 (Incontro al Liceo Classico "G.B. Vico" di Napoli)
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