sabato 23 agosto 2014

Il significato della democrazia di Biagio De Giovanni

DE GIOVANNI: Sono Biagio De Giovanni, attualmente Presidente della Commissione Istituzionale del Parlamento Europeo. Ho insegnato per molti anni in varie università discipline come Filosofia del Diritto o Filosofia politica. Anche questo mio retroterra personale mi induce a credere che oggi potremo condurre una discussione interessante sul significato del termine democrazia. Ora visioniamo la scheda che è stata preparata dalla regia.
Benché si continui ad usare la stessa parola greca, il significato moderno di democrazia è molto diverso da quello antico. Per i Greci la democrazia coincideva con la partecipazione diretta del popolo alle decisioni che riguardavano la polis. Nelle moderne democrazie, al contrario, la sovranità popolare si esercita attraverso le elezioni, con le quali il popolo si sceglie i suoi rappresentanti. Non dobbiamo dimenticare però che la vita politica si svolge oggi in grandi stati, mentre nella Grecia del VI e del V secolo avanti Cristo non esisteva uno Stato, ma una serie di città-stato. Del resto da dove viene la parola politica? Anche politica è una parola greca. Politica viene da polis, che significa appunto città. Se nella democrazia ateniese la politica attiva rimaneva nelle mani degli abitanti della città, nella democrazia moderna questo passa ai politici. Nell'antica Atene, insomma, tutti i cittadini, proprio perché cittadini, erano dei politici. Nelle democrazie moderne, invece, solo quelli che siedono in Parlamento, in genere vengono considerati dei politici. Essere dei politici, però, significa, nella nostra democrazia, esercitare l'attività politica non per se stessi, ma in nome di un solo sovrano: il popolo. Nelle democrazie occidentali la società civile è sempre più direttamente impegnata in politica. Una moderna polis, costituita da associazioni, gruppi di pressione, gruppi economici, preme direttamente sulla decisione politica. Se i cittadini diventano soggetti politici attivi, ne guadagna certamente la vitalità di una democrazia.
Ma può determinarsi così un regresso in termini di governabilità? La democrazia non potrebbe trovarsi ad essere contraddittoriamente minacciata da quelle stesse istanze che ne realizzano, per altro verso, la natura?


STUDENTE: Tenendo presente la differenza che Norberto Bobbio ha stabilito tra democrazia formale e democrazia sostanziale, fino a che punto pensa che la democrazia si sia realizzata nella società attuale? Non pensa che possa esistere una una frattura tra l'ordinamento giuridico statale e la fruizione reale dei diritti di cittadinanza propri di una democrazia reale?
DE GIOVANNI: Io vorrei partire da una considerazione: noi non dovremmo mai commettere l'errore di immaginare che, nella storia, si possa realizzare una attuazione perfetta di un qualsiasi modello di ordinamento. Se non partissimo da questo dato, ossia dalle imperfezioni della storia umana, costituite dai limiti propri dell'uomo, (questa che dovremmo considerare una sorta di finitezza, giammai un’antropologia pessimistica), noi finiremmo per applicare una logica sbagliata, arrivando a credere nell'esistenza di un modello che debba essere realizzato perfettamente. La storia del concetto di democrazia ci dimostra esattamente il contrario, ovvero come i processi storici siano sempre stati processi aperti, tendenze, quasi mai realizzazioni compiute. La società perfetta si realizzerebbe solo se noi fossimo degli angeli. Ma degli angeli, com'è ben noto, non siamo! Anzi, diceva Machiavelli: proprio perché gli uomini sono tristi e non sono buoni, è necessaria la forza, è necessario il potere. Occorre partire dall’idea di un modello imperfetto, da una visione della democrazia come un ideale perennemente incompiuto. La forza della democrazia, rispetto ai modelli dispotici e dittatoriali, riposa esattamente in questa sua perenne incompiutezza. Lei pone, comunque, un problema reale e angoscioso: come si rapportano le forme della democrazia ai diritti effettivi? Questo è un grande problema: il rapporto tra democrazia formale e democrazia sostanziale. Vorrei fare un accenno a questo tema - ma è un tema che, credo, occuperà parecchio della nostra trasmissione. Noi occidentali, per esempio, abbiamo raggiunto un grande risultato: l'affermazione della Carta dei diritti dell'uomo. Però i diritti dell'uomo sono continuamente violati. Lo sperimentiamo ogni giorno nelle nostre città così come nelle grandi vicende storiche contemporanee. Questo però non significa che avere affermato la Carta dei Diritti dell'uomo sia stata una cosa inutile, perché, comunque, siamo stati in grado di affermare un criterio, sulla base del quale poter criticare la realtà esistente. Se non avessimo avuto un'affermazione così importante, come la Carta dei diritti dell'uomo, di cui quest'anno ricorre il cinquantenario, noi non avremmo avuto a disposizione un criterio attraverso il quale criticare quella realtà insufficiente, imperfetta da cui, troppo spesso, siamo circondati. Questo vale sempre per la democrazia, perché nella lotta per l'affermazione della democrazia esisterà sempre un divario fra forma e sostanza. La tendenza della democrazia deve essere quella di adeguare la sostanza alla forma, i diritti effettivi alle forme e alle procedure per la loro messa in pratica. Questo è un accenno di risposta, ma la domanda implicherebbe la presa in considerazione di tante altre premesse ineludibili.
STUDENTESSA: Noi sappiamo bene come l'ateniese Pericle, nel 400 a.C., abbia usato il concetto di democrazia per giustificare la guerra degli Ateniesi contro gli Spartani (ovvero per giustificare la guerra di una società "libera" contro una tirannica). Attualmente in Italia (che, comunque, è un paese democratico) sembra che esista anche un tipo di interpretazione opposta a quella, apologetica, di Pericle. Non a caso sono sorte delle voci "fuori coro" rispetto all'opportunità e alla correttezza dell'intervento della N.A.T.O. nel Kossovo. Ma allora vorrei chiederLe: quanto è sopravvissuto del concetto antico di democrazia in quello attuale?
DE GIOVANNI: Innanzitutto il concetto antico di democrazia, come per altro ci faceva notare anche la scheda introduttiva, è profondamente diverso da quello contemporaneo - come, del resto, da quello moderno - ma non perché esso fosse più avanzato. Tanto per cominciare, la democrazia antica era, secondo il pensiero politico "classico" solo una delle possibili forme di governo, che potevano essere descritte nel panorama politico di tutto ciò che esisteva. Ma spesso erano descrizioni che non prescindevano affatto da giudizi di valore personali e soggettivi. Si tendeva a considerare, spesso, che le forme di governo potessero essere riassunte in un numero abbastanza piccolo di categorie: "governo dei molti", "governo dei pochi", "governo dell'uno". La democrazia, ovvero il "governo dei molti", era vista, badate tutti, con molta diffidenza dai pensatori politici dell'antichità. Nell'VIII Libro de La Repubblica è possibile rintracciare una celebre critica di Platone, molto forte, al valore della democrazia. In realtà la democrazia godeva di svariate proprietà che ne facevano un modus vivendi estremamente pubblico, anche il suo teatro e il suo laboratorio era costituito, naturalmente, da piccole città. Ma il momento della decisione era quasi sempre estremamente unanime e il potere esercitato era estremamente unitario. La democrazia moderna implica un enorme pluralismo di voci, una grande difficoltà di arrivare a decisioni unanimi, proprio perché la decisione deve poter tenere conto di una enorme pluralità di opinioni diverse. Lei ha portato un esempio riconducibile alla storia attuale. Ma è naturale che su di un'entrata in guerra vi possano essere opinioni diverse! L'importante è tener conto del fatto che, anche in una democrazia, dalla pluralità delle voci, si deve, pur sempre, arrivare ad una decisione. Perché uno dei limiti fondamentali, se non addirittura il rischio principale, della democrazia può essere proprio l'incapacità di decidere. Questo rischia di essere un elemento critico. Noi abbiamo sempre la possibilità, naturalmente, rispetto a decisioni prese, di far valere la nostra critica all'interno della nostra partecipazione alla politica e quindi di farla valere col voto. Quando criticheremo una condotta politica, o condanneremo una determinata scelta, ciò dovrà portarci a non votare nuovamente coloro che, secondo noi, hanno fatto delle scelte sbagliate o addirittura ingiuste. Badate bene: la democrazia moderna è realmente complessa. La democrazia antica era estremamente più semplice. Non credete che sia esistito un modello di democrazia antica che, noi moderni, abbiamo progressivamente fatto degenerare o che abbiamo tradito. Vorrei aggiungere che i dati critici, rispetto alla democrazia antica, erano, da parte degli intellettuali coevi a quel modello, assai maggiori dei dati di adesione. Ho richiamato Platone per ricordare che, rispetto alla città ideale di cui parlava ne La Repubblica, la democrazia rappresentava una delle possibili degenerazioni, perché nell'insieme l'idea era quella che il potere dovesse avere una forte concentrazione e una forte unità.
STUDENTESSA: Jean Jacques Rousseau ne Il contratto sociale parla di democrazia diretta, una forma di democrazia direttamente riconducibile a quella in vigore nell'antica Grecia, condannando l'assolutismo - che ai suoi tempi era lo status quo - che lasciava tutto il potere in mano al sovrano, negando l'esistenza dei diritti fondamentali degli uomini, e polemizzando con il liberalismo parlamentarista, da lui rappresentato come un sistema che lascia solo alla rappresentanza, e non agli individui, la libertà diretta di esprimere un consenso. Secondo Lei, perché non è rimasto in auge questo modello di democrazia diretta, se i principi tratteggiati in essa da Rousseau erano principi validi?
DE GIOVANNI: Va subito rilevato come la democrazia di Rousseau sia un'idea di democrazia legata ad una dimensione sociale molto piccola, la dimensione della città, certamente non ad una grande dimensione, come quella della realtà statale delle grandi nazioni. È chiaro che, in una grande dimensione statale, l'idea che ci possa essere una democrazia semplicemente diretta, con una naturale e diretta partecipazione di tutti al potere esecutivo, renderebbe impossibile il funzionamento di un qualsiasi sistema politico adottato in quello stato. Naturalmente, l'importanza della posizione di Rousseau, che è stato uno dei fondatori del moderno concetto di democrazia, consistette nell'affermare: badate, la dimensione della partecipazione politica deve essere interiorizzata nell'uomo, per poter fare di esso un cittadino. Ricordiamoci del fatto che Rousseau si rivolgeva ad un pubblico coevo ad una situazione nella quale vigevano gli Stati Assoluti, vere e proprie entità nelle quali sussisteva un'altissima concentrazione di potere proveniente direttamente dall'alto. Quasi tutti i teorici dell'etica e della politica anteriori a Rousseau - tranne Spinoza -, non avevano neppure concepito, o rielaborato, il concetto stesso di democrazia. Lo stesso Hegel, dopo Rousseau, aveva espresso molte diffidenze verso la democrazia. Volendo usare un massimo di semplificazione, come è necessario fare in questo caso, era come se allora, siamo nella seconda metà del settecento, l'idea stessa di potere, fosse, per antonomasia, quella di un qualche cosa di discendente dall'alto. Rousseau per la prima volta, sostanzialmente, tende a costruire un potere che nasce dal basso, che pone il problema di un contratto, al quale tutti partecipino, diano la loro adesione, costruiscano quindi una democrazia diretta. Subito dopo Rousseau è stata inaugurata una forte critica di questa democrazia diretta, basata sull'intuizione che gli Stati, i grandi contenitori della democrazia moderna, non possono funzionare se non attraverso una qualsiasi forma di rappresentanza. Inoltre, devo metterVi in guardia su di una cosa: sostenere ad ogni costo un ideale di democrazia diretta, certe volte, può essere un comodissimo alibi per arrivare ad affermare una posizione effettivamente autocratica e dittatoriale. La posizione plebiscitaria, ad esempio, nella quale sembra che il popolo sia presente come detentore del potere assoluto, spesso tutto rischia di ridursi ad un popolo che applaude in una grande piazza! Tutto lì! È democratica quella situazione? O non è democratica? Non è democratica, perché in realtà in un contesto di quel tipo, mancano le istituzioni necessarie alla mediazione fra il popolo e la sua sovranità e le istituzioni politiche stesse. Vorrei aggiungere un'altra cosa, allo scopo di completare l'illustrazione di un concetto non precisissimo, che è già stato tratteggiato nella scheda: la democrazia non può essere solamente politica. L'uomo non può essere solamente un cittadino, perché l'uomo in quanto cittadino, è colui che vota, è quello che esercita i propri diritti politici di cittadinanza. Ma oltre ad essere un cittadino, qualsiasi uomo è anche un lavoratore dipendente, o è imprenditore, o è un assistito, assieme a tante altre cose. Quando, allora, la democrazia come tale tende ad essere la più perfetta possibile e realizzata pienamente? Quando essa può avvicinarsi il più possibile a quella connessione fra democrazia formale e democrazia sostanziale, di cui Lei parlava? La mia risposta, che è un'ipotesi, non potrà essere che questa: quando viene a costituirsi un insieme di connessioni, un insieme di rapporti, che non si esauriscono nei diritti politici, ma che metta in campo, per esempio, l'importanza dei diritti sociali e dei diritti economici. Non può esistere solo il Parlamento come elemento garante della democrazia reale, e quindi come mediatore principale di quella rappresentanza puramente politica di cui Lei parlava. Esistono molti altri momenti della vita pubblica nei quali la partecipazione, magari non direttamente politica, alle associazioni, alla vita del volontariato, alle istituzioni locali, alle istituzioni universitarie, alle istituzioni scolastiche, possono costituire, ognuno attraverso il proprio contributo, momenti di organizzazione di una società più ricca e complessa. Ecco perché è sempre debole il paragone fra la democrazia degli antichi e la democrazia dei moderni. Giunti a questo punto varrebbe la pena considerare la riflessione svolta da Norberto Bobbio sul rapporto tra liberalismo e democrazia, perché mi sembra opportuno approfondire, all'interno del nostro dibattito, proprio questo passaggio della sua meditazione.
BOBBIO: Se si intende la democrazia una società al massimo egualitaria, esisterà sempre un contrasto tra liberalismo e democrazia. Però se noi partissimo dalla definizione procedurale di democrazia ci renderemmo conto di come la democrazia, quella che noi, oggi, intendiamo per democrazia, non sia altro che la naturale evoluzione storica del liberalismo, una sua prosecuzione, perché il liberalismo ha affermato, per primo, alcuni diritti fondamentali dell'uomo, i diritti di libertà e i cosiddetti diritti civili tra cui: la libertà di associazione, di riunione, di stampa, di opinione, di religione, eccetera. Con la democrazia si è affermato un altro concetto fondamentale, quello di diritto politico, vale a dire il concetto di un diritto di prendere parte alle decisioni collettive. All'inizio esistevano solo i cosiddetti Stati liberali che, il più delle volte, non erano affatto democratici, perché potevano prendere parte alle decisioni collettive soltanto alcuni cittadini, generalmente coloro che pagavano una certa quota di tasse, quindi gli abbienti. Cerano delle imitazioni di voto molto gravi per cui potevano votare soltanto una piccola parte dei cittadini: il 2%, il 3% (al massimo) dei cittadini. Poi, con il passare del tempo, è avvenuta l'estensione del suffragio elettorale, fino a che esso non è divenuto universale. Questa estensione non è stata altro che una conseguenza della estensione a tutti i componenti di una società di alcuni diritti fondamentali che erano stati richiesti dal liberalismo. Da questo punto di vista, se noi intendiamo la democrazia soprattutto dal punto di vista procedurale o formale, come lo intendo io, la democrazia attuale è la naturale prosecuzione storica del liberalismo. Non può esserci contrasto tra i due concetti.
DE GIOVANNI: Norberto Bobbio, come Voi sapete, è uno dei grandi maestri del pensiero politico italiano. Egli, secondo me, sostiene una cosa inconfutabile, che ci permette di allargare il nostro discorso: quando, nella democrazia, è stato sottolineato l'elemento puramente egualitario - ossia l'equazione democrazia = eguaglianza - è sembrato che tra democrazia e liberalismo vi dovesse essere opposizione basata sullo stato di fatto della loro diversità. E v'è stata opposizione, da parte dei sostenitori degli ideali democratici, al modello puramente liberale. Voi dovete pensare che gli Stati liberali dell'Ottocento erano Stati che avevano affermato alcuni diritti fondamentali, ma solamente per alcuni. Per esempio il suffragio era ridottissimo. Pensate che fino al 1882 in Italia votava il 2%, della popolazione attiva. La cosa è assolutamente incredibile, per noi, oggi. È accaduto che, ad un certo punto, proprio verso la fine dell'Ottocento, si sia rotto lo schema dello stato liberale puro, basato su di una spaventosa ristrettezza della partecipazione dei cittadini alla vita politica. I grandi movimenti popolari, i grandi movimenti socialisti, i grandi movimenti popolari cattolici, in Italia, così come da per tutto, la fondazione dei partiti socialisti verso la fine dell'Ottocento, avvenuta in Italia nel 1892, fecero sì che le grandi masse entrassero a far parte della vita politica e sociale dei loro paesi. Questa fu una grande novità. Gli Stati si dovettero adeguare al fatto che grandi masse cominciavano a partecipare alla vita politica. In quel momento sembrò che tra liberalismo e democrazia si dovesse instaurare, semplicemente, un'opposizione. In realtà che cosa è accaduto lungo il secolo? Io vorrei che Voi rifletteste sull'attualità. Lungo il secolo è avvenuto che è stata avviata una vera e propria compenetrazione fra il liberalismo puro, (il tentativo di dire: l'uomo ha dei diritti che sono connaturati alla sua umanità, che sono connaturati al suo essere uomo, che non sono diritti di classe, o diritti acquisiti successivamente) e le principali istanze dei movimenti democratici. Il risultato di questa compenetrazione fu arrivare a concludere che i diritti fondamentali della tradizione liberale dovevano essere generalizzati, poiché enormi masse umane che, allora stavano entrando nella storia, ne richiedevano una maggior condivisione. Ecco, in questo, secondo me, consiste l'affermazione del nesso tra liberalismo e democrazia,.
(...)
STUDENTE: Forse non ci sarà mai una perfetta eguaglianza! Ma io vorrei far notare questa incongruenza nel Suo punto di vista: se una persona dispone di tutti i mezzi per arricchirsi, allora possiamo dire "Okay ci sono gli stessi diritti", ma al tempo stesso constatare "ma non ci sono le pari opportunità". Non Le sembra assurdo? Bisogna pur disporre di pari opportunità per poter vivere nella stessa maniera, ossia per poter vivere secondo dei canoni comuni fondamentali da cui poter partire per l'affermazione di sé stessi. Se venisse offerta la possibilità a tutti i cittadini di uno stato di potersi evolvere economicamente nella propria società, insomma, anche con un sistema alternativo a quello capitalistico, questo non significa che comunque tutti finirebbero per fare le stesse cose, o per sfruttare nello stesso modo le stesse opportunità di partenza. Questa è democrazia, almeno da come la vedo io, non terrore politico!
DE GIOVANNI: Sì, d'accordo. Ma allora, a questo punto, Le vorrei fare io una domanda. Non Le sembra che le democrazie moderne abbiano tentato - e che stiano tuttora tentando, poiché i processi storici sono sempre in corso, naturalmente - il massimo possibile per costruire un rapporto tra diritti sociali e diritti politici che fosse il più equo possibile? Provi a tornare con la Sua mente indietro nel tempo, al Medioevo, al Rinascimento, al Seicento o al Settecento, quando i poteri costituiti erano veramente oligarchici. La democrazia, affermandosi, ha rotto queste oligarchie. Ha creato lo stato sociale in Occidente. Si può obiettare: ma lo stato sociale non può soddisfare tutti, perché lo stato sociale mantiene all'interno della società dove esso è in vigore una convivenza tra povertà e ricchezza. Certo! E chi lo nega! Dicevo all'inizio: non pensate a modelli assoluti come progetti per il futuro. Io sono dell'avviso - faccio una considerazione brevissima, perché qui bisogna essere molto brevi -, che la Sua critica riprenda il tema di Marx, ovvero la critica della democrazia politica (quella che Marx chiamava "il cielo della politica di fronte alla terra"), e la necessità di considerare il materialismo della società civile. Questa è una critica realistica, e una saggia tendenza dovrebbe essere quella di poter mettere insieme questi due livelli della realtà. Ma è un processo di fronte al quale dovremmo chiederci: che cosa conta, al suo interno, a livello decisionale? Contano due cose, secondo me:
La prima è: la grande capacità dell'individuo di partecipazione alla lotta politica, anche di lotta di classe, quando è stata necessaria.
La seconda, contrariamente a quanto si possa credere, è stata l'esaltazione dell'individuo, e della sua capacità, in quanto individuo, di restare all'interno del processo storico, senza tentare di farne astrazione. 
Rispetto alla democrazia, oggi, non c'è di meglio al mondo. Purtroppo è così!


STUDENTE: Comunque è riscontrabile anche il fatto che i piani teorici non sono mai stati attuati praticamente in assoluto, nella storia umana. Non a caso le grandi delusioni storiche, hanno generato reazioni culturali tutte assimilabili da un unico comune denominatore (si pensi al naturalismo, al verismo, ecc.), il fallimento di una prospettiva realistica, riscontrare che la democrazia, dopo le lotte intraprese per la sua affermazione non era praticamente quello che ci si aspettava che potesse essere sul piano teorico. Ma nessun modello ideale è mai stato realizzato perfettamente nella realtà storica!
DE GIOVANNI: Ma Lei è proprio convinto che noi si debba partire da un modello ideale per poi misurare quanto di questo modello sia stato realizzato nella realtà? Siamo ancora convinti che Platone sia il nostro schema ideale di pensiero? È uno schema per il quale si parte dal grande modello ideale del mondo, poi andiamo si va a vedere, lentamente, che cosa di questo modello si è in grado di realizzare nella realtà. Siamo sicuri che esso sia la ricetta giusta per cambiare le cose? Non si dovrebbe avere un atteggiamento molto più dinamico, molto più processuale, che parta dall'osservazione di come il mondo è realmente? Come vi ho detto sin dall'inizio: la democrazia è, per definizione un processo incompiuto. Come tutti i processi dinamici!
STUDENTE: È una visione pessimistica, questa!
DE GIOVANNI: Pessimistica!? È una visione storicistica, è una visione della storia umana, della finitezza della storia umana. Forse c'è una leggera punta di pessimismo antropologico in questa interpretazione della natura umana. In questo mi sento molto vicino ancora alle cose che diceva Machiavelli ne Il principe, cioè: se fossimo angeli il mondo sarebbe perfetto. Non lo siamo, però, (viva Dio!), il punto fondamentale dal quale possiamo ancora partire per modificare le cose qual è? L'impegno, sia etico, che politico, da parte di tutti. Devo dire, a questo riguardo, che io avverto una notevole indifferenza, oggi, nelle nuove generazioni rispetto al problema dell'impegno. Questo è un problema che va combattuto. No? Devo dire che io oggi non l'ho avvertiti, con Voi studenti, ma purtroppo è una tendenza reale.
STUDENTE: Lei non pensa, allora, che uno degli articoli meno attuati della Costituzione Italiana sia quello in cui lo Stato dovrebbe, diciamo, rimuovere gli ostacoli economico-sociali di ogni cittadino, proprio per favorire la possibilità di quell'uguaglianza di libertà di ognuno di noi?
DE GIOVANNI: Non c'è dubbio. Vorrei che valutaste però questo aspetto delle cose: è un fatto importante che la Costituzione Italiana, contrariamente alla grande maggioranza delle costituzioni europee, affermi un punto fondamentale sui diritti dell'uomo (il fatto che lo affermi, non significa che lo realizzi o che lo abbia realizzato o che sia in grado di realizzarlo in maniera compiuta). Però, anche grazie a questo punto della Costituzione Voi giovani disponete, per esempio, di uno strumento intellettuale e politico di lotta per poter affermare : ma se la Costituzione dice questo, perché spesso nella realtà storica avviene il contrario, soprattutto nel nostro paese? Come mai? 
È questa l'essenza di ogni vera battaglia politica: la tensione che si viene a creare fra ciò che dovrebbe essere la realtà e ciò che è, senza mai potere immaginare che ciò che dovrebbe essere diventerà sicuramente e compiutamente ciò che è, perché questa è un'immagine astratta della storia. Badate, ci sono stati dei tentativi di trovare grandi scorciatoie politiche - le abbiamo avute nel secolo - e queste scorciatoie politiche sono fallite. Vi siete chiesti: perché sono fallite? Sono evidentemente fallite anche a causa di tante complicate ragioni economiche, politiche, storiche, anche perché il tentativo di dare una realizzazione compiuta ad un modello assoluto della realtà, come dicevo prima, può finire col distruggere proprio la democrazia, ossia la possibilità che tutti gli individui possano far valere ognuno la propria individualità. Guardate bene: il liberalismo è proprio questo. Il nesso tra liberalismo e democrazia è proprio questo. Dietro l'idea di democrazia esiste un'idea del valore dell'uomo. La democrazia non è solamente un sistema dove governa la maggioranza, è anche il sistema politico che, più di tutti, tende a valorizzare l'uomo e i diritti umani. Poi, naturalmente, la storia è stata, ed è, quella che è. La vediamo all'azione. La storia è terribile, badate, perché l'uomo è terribile, perché il potere è terribile. Voi, nuove generazioni, dovreste poter riporre la Vostra fiducia, le Vostre capacità, la Vostra speranza, nella capacità di lotta anche. Ripeto, insisto: sento più indifferenza, in generale, verso questi problemi di quanta non ne sarebbe necessaria. Si pensi ad un'opera d'arte emblematica dei processi storici di cui stiamo parlando. È un quadro interessante per farci comprendere il passaggio dal liberalismo classico alla democrazia moderna, dipinto da Giuseppe Pelizza da Volpedo, Il Quarto Stato, un celeberrimo quadro, rappresentativo di questa transizione dalla cultura politica liberale classica alla moderna democrazia di massa. Quello fu il momento storico in cui - alla fine del secolo scorso - grandi masse umane entrarono a far parte della società politica. Prima, queste masse, erano tagliate completamente fuori da ogni cittadinanza politica effettiva. La politica si giocava in un circolo ristrettissimo. Questo quadro è l'emblema di questo passaggio.

STUDENTE: Quanto è collegata, secondo Lei, l'informazione alla democrazia? Quanto possiamo, noi cittadini, giudicare correttamente l'operato degli uomini politici che noi votiamo? Quanto possiamo credere nell'informazione politica? Molto spesso l'informazione politica, in questo paese, risulta essere non oggettiva, di conseguenza non possiamo giudicare in modo imparziale e, quindi, regolarci di conseguenza!
DE GIOVANNI: Questo è naturalmente vero. Io vorrei, però, rispondere, innanzi tutto, alla prima parte della Sua domanda. Sicuramente il nesso tra informazione e democrazia è strettissimo, nel senso che la democrazia è, o dovrebbe essere, il regime della pubblicità. L'agorà greco, sia pure per una piccola città, voleva rappresentare proprio questo: il fatto che le decisioni rilevanti venissero prese in pubblico. Tra pubblicità e democrazia c'è sempre stato un rapporto strettissimo, sin dalle prime affermazioni della democrazia politica, in opposizione ai vecchi luoghi comuni degli arcana imperi, la mentalità anticamente diffusa secondo cui il potere è segreto. Esso non deve informare, deve poter vedere tutto, ma non deve essere visto - sto pensando al famoso panoptikon di Bentham, ossia una sorta di punto di vista dal quale si può vedere tutti, senza essere visti. Sicuramente l'informazione deve essere trasversale, ma - attenzione - il mondo contemporaneo, se possiede una caratteristica peculiare essa è proprio quella della velocità con cui le notizie vengono date. Voi lo sapete meglio di me, perché su queste cose siete molto più aggiornati di me. Oggi il potere di pubblicizzare l'informazione - mi riferisco ad Internet, ma potrei riferirmi alla stampa, alla televisione -, è straordinario. Naturalmente c'è sempre chi tende a manipolare l'informazione, per manipolare le coscienze, a ridurre l'oggettività dell'informazione allo stretto indispensabile per ricavarne degli scopi poco puliti. Ma perché dovremmo immaginare che tutto debba sempre essere chiaro e limpido? Questi di cui stiamo parlando sono problemi enormi, rispetto ai quali il fattore decisivo non può che essere la capacità di lotta esistente in seno ad una società. Gli strumenti d'informazione li avete a disposizione. Internet, per esempio, è uno strumento di informazione essenziale, perché tramite esso è possibile pubblicizzare tutto e pubblicizzare è indispensabile per informare. Ma ricordiamoci anche del fatto che pubblicizzare è mettere chi agisce, politicamente o no, di fronte alle proprie responsabilità.
STUDENTE: Da quello che Lei ha appena detto è possibile evincere che l'uomo è tanto più libero quanto più gode di una informazione obbiettiva e non manipolata?
DE GIOVANNI: La libertà, in ultima istanza, non dipende da niente. La libertà, fondamentalmente, consiste in ciò che è Lei come individuo. Bisognerebbe sempre partire da questo presupposto. Noi tutti dovremmo sempre partire da questa premessa: noi siamo liberi. Dopodiché si può essere condizionati da cento fattori di cui moltissimi negativi. Naturalmente più siamo bisognosi, per esempio, meno siamo liberi. Più abbiamo scarsa capacità di partecipare alla vita economica e sociale, meno siamo liberi. Però, l'essenza della libertà sta nella nostra umanità. Naturalmente a partire da questo, tutto quello che Voi dite, tutto ciò che avete rilevato, per esempio, sull'informazione, è vero. Vorrei portare un'esemplificazione. Noi stiamo parlando di questo mondo contemporaneo, dove l'informazione passa attraverso tutte le dimensioni, anche sotto forma di informazione manipolata. Questo significa che è necessario avere la capacità di critica. Pensate al mondo antico, pensate al mondo medioevale o anche al grande Rinascimento. Potete Voi immaginare, in quei tempi, un livello di informazione, cioè di pubblicità del potere, migliore di quello di cui godiamo oggi? Certamente non era così. Quindi il mondo, anche da questo punto di vista, va verso il meglio, (come avrebbe detto Kant), non va verso il peggio. Ma nonostante tutto rimane e rimarrà sempre un mondo da migliorare. Lei nota in questo una una nota di pessimismo? Forse sì, una nota di pessimismo è presente, in quanto viene messo l'accento su questo senso della finitezza umana, su questa dimensione non angelica dell'uomo, su questa ripetitività del potere, che è una dimensione, se volgiamo, aspra della storia, che sconfina in una inimicizia perenne che spesso pone gli uomini gli uni contro gli altri. Se volessimo immaginare un mondo totalmente privo di imperfezioni anche da questo punto di vista, probabilmente, avremmo di questo mondo una visione machiavellicamente angelica! E, comunque, totalmente irreale.
STUDENTE: Vi sono anche delle guerre, in corso, su questo mondo.
DE GIOVANNI: Vi sono delle guerre, ci sono delle guerre dichiarate, ci sono delle guerre non dichiarate. Sembrava che dopo il 1989-90, dopo la caduta del Muro di Berlino, il mondo dovesse conoscere il trionfo della democrazia e basta. La cosiddetta "fine della storia". Invece, come avete visto, la rottura degli equilibri mondiali sta ricreando nuove forme di egemonie.
STUDENTE: Come si fa ad essere ottimisti in un mondo che continua a produrre, spesso, dei conflitti per soli scopi autoritari?
DE GIOVANNI: In questo mondo di cui Lei sta parlando Lei dovrebbe avere il coraggio e l'impegno di portare la Sua energia umana, la Sua energia etica, la Sua energia politica, la Sua energia civile. Un poeta una volta disse: l'atto quotidiano di una persona giusta è quello che salva il mondo dal male. Non c'è nessuna retorica in questo. Più energia individuale noi investiamo nel mondo, più volontà di pace, volontà di partecipazione, condizionamento democratico del potere, partecipazione alla politica, partecipazione alla vita civile, partecipazione alla vita scolastica, studio, ricerca, otterremo come risultati. Il mondo è fatto di questo bisogno di impegno. Il risultato complessivo della storia sarà anche il risultato complessivo di quello che noi vi investiremo dentro. Più nutrirete indifferenza verso il mondo, restandoVene in lontananza, e più il potere si occuperà di Voi e Voi, alla fine, non riuscirete più a condizionarlo. Quindi, come dire, c'è costante necessità di una riflessione sulla politica e sull'etica da realizzare in questa realtà. Con una politica "pura" che non si sporca le mani con il quotidiano non usciremo mai da tutti questi problemi.
STUDENTESSA: Lei, poco fa, ha portato l'esempio del Medioevo, in cui non era possibile godere di una effettiva conoscenza del potere. Lei, però, non pensa che, anche senza risalire così indietro nel tempo, sino al Medioevo, e restando in questo secolo, in periodi storici come il fascismo, l'informazione politica, pur essendo presente, (allora stavano nascendo i grandi mezzi di comunicazione di massa) può essere stata usata in maniera completamente distorta? Posto esclusivamente in mano allo Stato il potere di informare la gente, in quel periodo, aveva deformato in maniera abbastanza consistente la visione del potere da parte dei cittadini, inquadrando la storia degli eventi politici di quegli anni solo da un certo punto di vista, nonostante il progresso tecnologico di cui già allora si disponeva in termini di pubblicizzazione della politica. Ma allora questo "andare verso il meglio" di cui Lei parlava prima…?
DE GIOVANNI: Lei ha posto un problema molto importante, di cui possiamo parlare, sia pure brevemente. Io vorrei che, quando Voi pensate ai limiti della democrazia - oggi gran parte delle Vostre domande sono state sui limiti, la crisi e la critica della democrazia - non dimentichiate mai che l'unica alternativa moderna alla democrazia è la dittatura. Oggi, anche la politologia ha semplificato il vecchio schema. Prima si parlava: autocrazia, monarchia . No. Solo dittatura o democrazia. Tu hai fatto l'esempio del fascismo. Il fascismo è stato un fatto, come dire, del mondo moderno. Ci sono molti storici che stanno valutando tanti aspetti, però il punto fondamentale è questo: una cosa è un'informazione governata esclusivamente dall'alto, altro è un'informazione contraddittoria, manipolatrice, ma che sta dentro un processo e una dialettica, democratica. L'alternativa a questi regimi è la dittatura. Sembra troppo secca la cosa, ma è proprio così. Non c'è via di mezzo. Bisogna stare in questa democrazia e cercare di migliorarla. Non dire: "Ma questo va male. Quest'altro va male." Allora?".. Il processo è questo, dove andiamo altrimenti?
STUDENTESSA: Quindi dovremmo saper distinguere tra dove è possibile il confronto e il dibattito e la pura propaganda
DE GIOVANNI: Certo saper distinguere dove nasce il potere, perché il carattere delle dittature è che il potere nasce tutto dall'alto, che tutto è concentrato in quel punto che vede, senza essere visto, ilpanoptikon .
STUDENTE: Professore, mi scusi, riguardo all'informazione: come è possibile contestare il finanziamento ai partiti, in una democrazia, quando poi è possibile che non tutti i partiti abbiano la possibilità di ottenere una pubblicità come d'altronde è successo in Italia anni addietro?
DE GIOVANNI: Non ho ben capito se la Tua domanda è favorevole o contraria al finanziamento ai partiti.
STUDENTE: No, è favorevole.
DE GIOVANNI: Anche io sono favorevole per una ragione chiara, che la politica ha un costo - ed è giusto che lo abbia. Naturalmente poi la democrazia deve vigilare che il costo della politica sia veramente un costo che va alla politica, intesa come vita civile, poliscittà. Ma immaginare, come dire, qualunquisticamente che siccome c'è la corruzione vanno aboliti i partiti è un altro discorso. La politica ha i suoi costi e naturalmente è molto difficile governare un problema di questo genere, non solo per un atteggiamento che oggi esiste di risentimento contro le forme della mediazione politica. Questo è un punto pericoloso, badate. Noi possiamo criticare i partiti quanto vogliamo, criticarne la degenerazione, ma dobbiamo sapere che non sono state ancora inventate altre forme per trovare la mediazione della democrazia. I partiti devono diventare sempre più progetto e sempre meno potere. Le idee devono passare da qualche parte, attraverso gli strumenti di mediazione fra società e istituzione. Il dettaglio sul finanziamento sarebbe lungo e ci porterebbe lontano. Ma il tema mi pare importante.
STUDENTESSA: Professore, Lei ha fatto riferimento prima all'VIII Libro de La Repubblica di Platone. Abbiamo richiamato, attraverso Internet, un sito contenente i dialoghi di Platone proprio perché vogliamo prendere in considerazione la critica che il filosofo fa della democrazia come degenerazione dello Stato, come regime sciolto dal peso d'ogni disciplina. Dobbiamo considerare che Platone era convinto della sostanziale ineguaglianza degli uomini. Però, viste tutte le critiche che abbiamo mosso oggi alla democrazia, dovremmo anche prendere in considerazione l'idea di Platone di far gestire la cosa pubblica ai migliori, i migliori per virtù e valore intellettuale, oppure, per non essere così drastici, prendere l'idea di Rousseau, che la volontà della maggioranza non sempre tiene conto del benessere comune e dell'utilità pubblica.
DE GIOVANNI: Devo dir la verità, io penso che sia meglio che non tutti i migliori arrivino a governare, ma piuttosto immaginare che il governo debba essere dei migliori. Perché poi ognuno si interpreta come il migliore, allora il vero rischio è che si passi a una situazione monocratica. Badate che la critica di Platone nell'VIII Libro de La Repubblica - che addirittura vede la democrazia come il penultimo stadio della degenerazione, poi, c'è solamente, la tirannide, è un elemento che, diciamo, spinge non in direzione di adesione - ma diciamo, di valorizzazione di ciò che la democrazia ci può offrire. Ecco, io credo che la democrazia moderna è l'unica forma di governo nella quale noi possiamo pensare di migliorare la nostra esistenza individuale.
di Biagio De Giovanni da Il grillo 11/10/1999 (Incontro al Liceo Classico "G.B. Vico" di Napoli)

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